Un’antropologa del cibo.
Perché un antropologo non può non interrogarsi sulla biodiversità in quanto etica professionale e deontologia, in quanto strenuo assertore del relativismo culturale e della pluralità. Nello specifico il mio interesse per il cibo come fatto sociale totale nasce in Cilento, dove ho trascorso anni di ricerca sul campo per la mia tesi di laurea all’Università di Siena.
Nasce da un caciocavallo fatto con le mie mani, dalla scoperta di come si aprono i fagioli e di che cosa sono i taddi; nasce dalla raccolta dell’uva, delle olive e delle patate; nasce dal giorno in cui ho indossato una tuta gialla e mi sono avvicinata alle api, da tutti i piselli che ho tolto dal loro baccello e dal mio primo fiore di zafferano.
In questo piccolo paese dell’entroterra cilentano, Caselle in Pittari, ho imparato tutto quello che so sul mondo dell’agricoltura e dell’alimentazione, per poi iniziare la mia attività di insegnamento nelle scuole del Cilento in collaborazione con il Centro Studi sulla Dieta Mediterranea e di scrittura, con il libro Cento Volte Mezzogiorno, pubblicato in dieci puntate su Vanity Fair.
Nel 2014 ho ricevuto un riconoscimento “per l’attenzione rivolta alla comunità casellese e per l’eccellente lavoro prodotto con professionalità e passione” e nel settembre 2017 ho ritirato il Premio Ritratti di Territorio Antropologia e Cibo “per l’interesse, la competenza, il linguaggio emozionale con i quali indaga e analizza il rapporto tra cibo e uomini non mettendo mai da parte l’analisi antropologica“. Nel 2019 ho partecipato al programma Gustibus su La7 in qualità di esperta sul tema #ciboemigrazioni.
Nel 2021 ho fondato il LAC – Laboratorio di Antropologia del Cibo, un vero e proprio laboratorio antropologico dove persone e cucine da tutto il mondo si incontrano, ogni volta in modo diverso.
Gli chef, infatti, sono persone varie con qualifiche differenti: migranti di prima, seconda e terza generazione; rifugiati e richiedenti asilo; home chef, ristoratori e cuochi professionisti; badanti, musicisti, casalinghe, artisti. Tutti sono accomunati da una profonda passione per la cucina e dalla voglia di trasmetterla, cioè di farsi portavoce dei loro luoghi d’origine e dei piatti di casa, quella veri, autentici, del cuore.
Ogni corso dura 2 ore, durante il quale si parla, si cucina e si mangia insieme attorno a un tavolo: chi vuole può aiutare il cuoco nella preparazione, chi vuole può prendere appunti, chiacchierare con il vicino o tartassare di domande e curiosità il docente. Perché qui si fa prima di tutto antropologia e cultura, ma rigorosamente in modo conviviale.
Molti dei prodotti utilizzati sono di piccole aziende italiane, da quelli delle cascine intorno a Milano alle prelibatezze del Cilento.